Abbiamo perso e c’è un perché

cannesL’esclusione del terzetto italiano dai vincitori del Festival di Cannes ha fatto un gran rumore. I commentatori, quelli più benevoli, si sono detti sorpresi da questa esclusione perché da anni l’Italia non portava tanta qualità al Festival: tre grandi registi, attori di spessore internazionale, professionisti di primo piano alla cura dei dettagli. Dicono che non ci sia niente che non vada in questi tre film, nell’offerta del nostro cinema alla kermesse francese. I Cohen, presidenti di giuria, hanno dichiarato che semplicemente non potevano vincere tutti, dunque si tratterebbe solo di quello che succede in qualsiasi competizione con una giuria di mezzo: oltre alla qualità dell’opera (o della perfomance) anche il gusto dei giurati e le condizioni ambientali (il tifo di casa) condizionano la scelta finale. Bravi tutti insomma, solo qualcuno più fortunato, per così dire.

In realtà dietro alla mancata Palma d’Oro al made in Italy c’è di più. Ci sono i contenuti: i tre film in questione, rispetto ai vincitori, in particolare al vincitore, sono deboli sui contenuti, sulla scelta del racconto. L’evento epocale che l’Europa sta vivendo oggi, è rappresentato dallo scontro/incontro dell’Occidente con il resto del mondo. E di questo non c’è traccia, nessuno dei maestri del nostro cinema guarda dall’altra parte, si interroga sull’altro, lo prova a spiegare. I nostri sono film dal contenuto autoreferenziale.

garrone-moretti-e-sorrentino1Mia Madre (recensione MYmovies) è un film ben fatto, recitato alla perfezione, ma non eccellente. Il regista (autore, interprete) personalizza il dramma della perdita legandolo indissolubilmente a se stesso, senza dare lo spazio al pubblico per proiettare la propria esperienza all’interno del racconto. Moretti non va oltre l’autobiografia e il risultato finale è un film egoista, che non unisce narratore e pubblico, e che di certo non chiarisce i molti dubbi che i cambiamenti in atto suscitano in ognuno di noi. Sceglie il momento più sbagliato per dirottare il suo occhio indagatore dal mondo al proprio Io, e il Festival non glielo perdona (giustamente).

Se il film di Moretti sarebbe potuto essere ma non è un film vincente, quello di Garrone Il racconto dei racconti (recensione MYmovies) parte sconfitto già in partenza. Il regista riesce a portare nel racconto di fantasia ansie e paranoie reali: i suoi attori, i costumi, la fotografia, la sua regia, ogni elemento del film è coordinato alla perfezione e il fantastico rafforza i sentimenti senza svuotarli di verità. Detto questo, il genere fantasy costringe il regista a esprimersi per metafore e quello che serve oggi al cinema non è il virtuosismo dell’artista ma spiegazioni chiare di una realtà sempre più complessa. Il film di Moretti non è un granché, quello di Garrone sì, ma per sua natura non avrebbe mai potuto vincere.

E infine Youth (recensione MYmovies). Sorrentino ci riesce ancora, fa un film da Oscar. Monumentali Michael Caine e Harvey Keitel, abbagliante la giovanile bellezza di Madalina Diana Ghenea. Perché abbagliante è la giovinezza quando pensiamo che si possa perdere, quando la vediamo solo nel corpo di una donna o nei ricordi di un tempo andato, di un’età dell’oro che non tornerà. Il film racconta la perdita dell’energia vitale, artistica, erotica, in una parola della giovinezza, e di come si possa ritrovare solo decidendo di “vivere, non di sopravvivere”. La giovinezza non è una condizione del corpo ma uno stato della mente, un atto di volontà individuale. È la speranza del regista, del Sorrentino mito del cinema, logorato dal lavoro e che avrebbe già deciso di smettere dopo i prossimi quattro film. La speranza di trovare una nuova forma di giovinezza per non smettere mai di essere giovani.

Un film da Oscar, meraviglioso, perfetto e inutile. All’Italia, alla Francia, all’Europa non serva l’abilità di Sorrentino, non serve conoscere le ansie dei grandi del nostro cinema, non serve ribadire per l’ennesima volta che è quello che abbiamo dentro a determinare chi siamo, non il tempo o il nostro aspetto. Sono i contenuti a determinare la sconfitta di Sorrentino, è l’autoreferenzialità di questi contenuti.

In Francia dalla Rivoluzione in poi l’arte ha sempre dovuto spiegare, denunciare, avere una funzione sociale. A Cannes ha vinto Dheepan (recensione MYmovies) di Jacques Audiard. Un grande regista che prova a esplorare la realtà attuale e a decifrare gli enigmi che la caratterizzano. E lo fa guardando “dall’altra parte”, anzi, mettendosi nei panni “dell’altro”. I protagonisti sono due invisibili, un guardiano tuttofare e una badante, due migranti in fuga dalla guerra che il regista rivela al pubblico in tutta la loro umanità. Ed è questa scoperta, tanto banale quanto sconvolgente per l’Occidente, a inchiodare il pubblico alle proprie responsabilità. Abbiamo il dovere di andare oltre, di conoscere gli esseri umani dietro ai dati sull’immigrazione.

Ha vinto questo film, bello e soprattutto utile, che non sottrae il pubblico al confronto ma che lo favorisce.

Proprio l’Italia è al centro di questo scontro culturale e il meglio del nostro cinema non ne parla, non se ne interessa, non prova a spiegarlo. Per questo abbiamo perso e di questo, non della sconfitta, dovremmo rammaricarci.

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